CULTURA

Tre arazzi per il futuro museo

arazzoIn attesa dell’apertura del museo dedicato a questa collezione, la mostra,in corso a PalazzoPitti sino al 21 maggio costituisce un richiamo a un articolato e ampio patrimonio di opere che sapeva unire alla monumentalità decorativa il pregio di una tecnica tanto preziosa quanto fragile.

Creazioni della manifattura medicea, di quella fiamminga di Bruxelles e di quella francese dei Gobelins, i tre arazzi esposti in mostra in Sala Bianca sono stati selezionati in rappresentanza dei tre nuclei portanti della collezione fiorentina di arazzi appartenente alle Gallerie degli Uffizi, che conta novecentocinquanta esemplari.

L’esposizione si apre con la Caccia al cinghiale con l’archibugio, uno degli splendidi arazzi appartenente alla serie delle Cacce realizzata per la Villa di Poggio a Caiano. Il duca Cosimo I de’ Medici aveva destinato l’imponente serie delle Cacce a venti stanze della superba villa, fatta costruire da Lorenzo il Magnifico su progetto di Giuliano da Sangallo. Fu tessuta dal 1566 al 1577 dagli arazzieri fiorentini Giovanni Sconditi e Benedetto Squilli su cartoni del pittore di BrugesGiovanni Stradano. Fino ad oggi sono stati ritrovati sedici dei ventotto arazzi originari, di cui nove sono nella collezione fiorentina. Per l’ideazione dei soggetti Giorgio Vasari, Vincenzo Borghini e Stradano stesso sembrano aver attinto al Livre de Chasse di Gaston Phébus, manoscritto nel 1387 e stampato a Parigi nel 1507, e al trattato di Domenico Boccamazza, soprintendente di Papa Leone X de’ Medici, dedicato alle cacce con le tele e le reti. La serie fu celebre già nel Cinquecento, grazie alle stampe incise dal 1570, tratte dai disegni dello stesso Stradano, che ebbero successo in tutta Europa.

La Caccia al cinghiale con l’archibugio raffigura l’uso del fucile a miccia o archibugio, che ebbe diffusione nel XVI secolo. La sequenza di immagini ideata da Stradano, dal caricamento dell’arma sul proscenio al momento prima dello sparo sullo sfondo, sembra privilegiare il metodo e l’ambiente della caccia piuttosto che la raffigurazione della preda. Il cinghiale nascosto tra gli alberi è l’unica immagine dell’animale rappresentata dentro la scena, mentre la sua testa è raffigurata al centro delle bordure superiore e inferiore.

Il secondo arazzo di manifattura fiamminga raffigura Adamo ed Eva rimproverati da Dio dopo il peccato e appartiene alla serie delle Storie della Creazione, composta da sette esemplari.
In questo arazzo vengono rappresentati, secondo la tradizione fiamminga, due episodi in sequenza immersi in una fitta vegetazione: il momento del peccato sul proscenio e quello successivo, con la vergogna della propria nudità, sullo sfondo. Nei nudi classici e scultorei dei protagonisti in primo piano e nell’orizzonte luminoso e basso si avverte invece l’influsso della maniera italiana. La figura di Dio Padre ricorda quelle affrescate nella prima volta delle Logge Vaticane e la posa rannicchiata di Eva è simile a quella nella Tentazione di Adamo ed Eva della Cappella Sistina di Michelangelo. Le grottesche alla fiamminga nelle bordure rappresentano uno dei primi esempi di questo genere, di cui lo stesso Coecke fu tra i creatori.

Il terzo arazzo, raffigurante L’Acqua fa parte della prima edizione dei Quattro Elementi, con cui si inaugurò l’attività della Manifattura reale dei Gobelins, creata nel 1662 da Jean-Baptiste Colbert, che ne aveva affidato la direzione artistica a Charles Le Brun. La serie, già in lavorazione dal 1664, fu donata nell’agosto 1669 da Luigi XIV al futuro granduca di Toscana Cosimo III, in visita a Parigi.

La mostra, promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con le Gallerie degli Uffizi e Firenze Musei, è curata da Lucia Meoni e coordinata da Alessandra Griffo.

Alessandro Lazzeri

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