Lo Stato libero di Fiume:un convegno ne rievoca la vicenda
Nei giorni scorsi, nell’ambito delle manifestazioni per “Fiume, Capitale europea della cultura 2020”, nel capoluogo del Quarnero si è tenuto un convegno internazionale, con storici e studiosi di varie discipline provenienti da Italia, Ungheria, Austria, Slovenia e Croazia, sulla brevissima stagione (1920-1924) in cui Fiume, tra la pagliacciata dannunziana e l’annessione all’Italia, fu proclamata Stato indipendente. Ovviamente, per le Potenze europee dell’epoca, Regno Unito e Francia, si trattò di un escamotage, una sorta di “pausa di riflessione” nel corso della quale, da un lato far sbollire gli spiriti nazionalisti contrapposti (italiani e croati), e dall’altro convincere i due regni, quello d’Italia e quello dei Serbi Croati e Sloveni (più in là negli anni lo stato si sarebbe chiamato “Jugoslavia”), a trovare una soluzione che soddisfacesse entrambi. Come sappiamo, fu trovato. Fiume divenne italiana, mentre la parte sudorientale, il sobborgo di Sussak, divenne “jugoslavo”.
Durò solo quattro anni l’esperienza di Fiume-Stato; materialmente, però, venne rovesciato dai fascisti nel 1922. Un colpo di mano (anzi, di Stato) che i governanti serbi lasciarono correre, per due semplicissimi motivi: per tenere aperto un contenzioso con l’Italia e perché tutto sommato, Re Karageorgevic era più interessato ad ottenere un ruolo egemonico sullo scacchiere balcanico (che Parigi e Londra caldeggiavano).
Ma se il ricordato escamotage franco-britannico ebbe dei risultati, e portò Fiume all’Italia, lo si deve in primo luogo al fatto che il presidente statunitense Wodrow Wilson, nel 1919, colpito da un doppio ictus, dovette uscire di scena. Il Capo di stato americano, infatti, del quale si diceva che “Dio gli dette una grande visione”, vedeva in Fiume una possibile sede della Lega delle Nazioni, creatura da lui “inventata” (e che gli valse il Nobel per la Pace), e città cosmopolita, porto e emporio dell’Europa centrale. La storia ha voluto diversamente. Nazionalismo e fascismo hanno avuto la meglio. A scapito di Fiume e dei fiumani, che nei diciannove anni di reggenza italiana, hanno vissuto il periodo meno florido, economicamente, dalla seconda metà dell’Ottocento ad oggi.
Il deposto presidente di Fiume-Stato, il veneto Riccardo Zanella, leader indiscusso del movimento autonomista fiumano,una volta cacciato, si rifugerà dapprima a Belgrado, quindi a Parigi, dove sebbene non più giovane, entrerà nella Resistence. Al termine della Seconda guerra mondiale, tornerà alla carica con l’idea di ripristinare lo Stato Libero di Fiume, ma inutilmente. Le Grandi Potenze si sentono in obbligo con la Jugoslavia “di Tito”, uscita vincitrice, senza il loro apporto dai quattro anni di lotta armata con tedeschi, italiani, ungheresi, bulgari, ustascia croati e cetnizi serbi: Fiume, Zara, l’Istria sono bottino di guerra jugoslavo. Punto!
Un’ultima nota.
Che ci azzecca Firenze con le vicende fiumane di cento anni fa?
Ebbene, fu proprio Firenze la prima città italiana ad essere “informata” sul reale stato di cose – sociale, politica, culturale – di Fiume. Si era nel 1909. A Fiume, “corpo separato dello stato ungherese” nell’ambito dell’Impero austrungarico, da secoli italiani e croati convivono, con lingua ufficiale l’italiano (dunque, sin da prima della nascita del Regno d’Italia, per la precisione dal 1599) ben accetta da tutte le componenti etniche: le altre sono ungheresi, germanici, ebrei, serbi, boemi). Nei primi anni del Novecento, Fiume, o meglio la componente non italiana, in particolare la croata, è fatta oggetto di duri attacchi da parte degli ambienti nazionalisti e irredentisti triestini e veneti; un irredentismo che non ha per bersaglio, dunque, solo l’Impero di Francesco Giuseppe. Ebbene, in questo 1909 a Firenze si trova da due anni, grazie ad una borsa di studio del Comune di Fiume, la “maestrina” fiumana Gemma Harasim (1876-1961), persona coltissima, già autrice di alcuni scritti sui problemi dell’educazione, che assai impressionarono Don Benedetto Croce e Gaetano Salvemini. Nel capoluogo toscano viene a contatto con la redazione de “La Voce”, con immediata “adozione” (idealmente parlando) da parte di Giuseppe Prezzolini, il quale le mette a disposizione lo spazio del suo periodico, su cui escono quattro “Lettere da Fiume”.In esse, la Harasim informa, appunto, l’opinione pubblica cittadina e nazionale (non dimentichiamoci che “La Voce” è uno dei più importanti fogli culturali italiani del tempo) sulla realtà della città liburnica. In parole povere, Gemma a suo modo chiede alla pubblica opinione italiana di ammonire gli irredentisti ed i nazionalisti per quel che concerne Fiume, poiché non solo le due maggiori componenti etniche del luogo da secoli convivono senza problemi, e soprattutto con il reciproco rispetto; ma, se questo stato di cose, questo equilibrio nei rapporti, dovesse precipitare, nel tempo a pagarne le conseguenze maggiori sarebbe la componente italiana, che nell’area è presente a macchia di leopardo e in città è maggioritaria solo nel centro e comunque i nuclei familiari “misti” sono all’ordine del giorno. Purtroppo, i moniti di Gemma Harasim rimasero inascoltati. Come la Storia ci ha insegnato, a cominciare dalla pagliacciata dannunziana per finire col Ventennio e l’aggressione militare al Regno di Jugoslavia, il risultato qual è stato? Che l’Italia ha perso l’Istria, Fiume e Zara, con tanto di placet delle Potenze Alleate.
Per tornare a Gemma Harasim, e concludere, gli scritti della “maestrina fiumana” impressionarono Don Benedetto Croce, il quale propiziò l’incontro tra Gemma e l’allora famoso pedagogista siciliano Giuseppe Lombardo Radice. Di lì a poco, i due si sposarono; vissero, dapprima a Catania, ma spesso la coppia dimorerà a Fiume, dove nascerà Laura (futura moglie di Pietro Ingrao), mentre il futuro matematico vedrà la luce in Sicilia. Da Catania, la famiglia si sposta a Roma. Qui, dal 1922 al 1924, il professor Lombardo Radice lavorerà a fianco del ministro della Pubblica Istruzione, Giovanni Gentile, amico e collaboratore di lunga data, e dirigerà il comparto dell’Istruzione Primaria, occupandosi della stesura dei programmi per le scuole elementari, mentre insieme a Gentile, traduce il Kant di “Critica della ragion pura”. All’indomani dell’assassinio di Giacomo Matteotti, Lombardo Radice rassegna le dimissioni, fino alla morte, avvenuta nel 1938, avrà ovviamente problemi con il Regime, nonostante la non inimicizia con Gentile. Gemma, a sua volta, proseguirà negli studi legati all’educazione scolastica e nel corso della Seconda guerra mondiale collaborerà con la Resistenza.
Sandro Damiani