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ESCLUSIVA, Luigi Lavecchia: “Qui in Italia il talento viene dopo la tattica, giardini e oratori senza ragazzi che giochino a calcio”

Ai microfoni della testata sportiva News.Superscommesse.it ha rilasciato alcune dichiarazioni in esclusiva Luigi Lavecchia. L’ex giocatore, tra le altre, di Juventus e Bologna, è oggi commentatore televisivo oltre che talent scout e istruttore per la Football Academy di Alghero, affiliata al Cagliari. In quest’intervista, ricca di temi e ricordi legati alla sua carriera, Lavecchia esprime un parere sulla crisi del calcio italiano emersa con tutta la sua criticità durante Euro 2024.
Stiamo effettuando una mini-inchiesta per capire cosa non vada nel movimento italiano. Più di qualcuno ci ha detto quanto conti il fatto che non si giochi più per le strade e che nei settori giovanili si dia troppa importanza alla tattica piuttosto che alla tecnica. Sono concetti che hai ripreso in un tuo post su Facebook, nel quale parli però anche della mancanza di passione da parte dei ragazzi. Da tecnico che ha lavorato con i giovani, in quale ordine di importanza metti questi fattori? Quanto i giovani mancano effettivamente, quanto non li sappiamo valorizzare e quanto loro non hanno più voglia di sacrificarsi?
“A Torino mi è capitato di vedere oratori e giardinetti vuoti e ho notato la stessa cosa in Sardegna dove lavoro. Purtroppo è vero, una volta terminato l’allenamento i ragazzi non giocano più a pallone a differenza di quanto accadeva ai miei tempi. Così non va bene, perché se si vuole diventare calciatori due o tre ore di allenamento al giorno non bastano, a meno che non si sia fenomeni. Per quanto riguarda i settori giovanili, mi rifaccio a quanto ha scritto Dybala sul fatto che in Italia gli istruttori lascino meno libertà ai ragazzi rispetto a quanto accade in Argentina. Da noi il talento finisce troppo spesso in secondo piano rispetto alla tattica e questo vale nel paragone con il Sud America, dove invece i ragazzi crescono ancora per strada con un pallone tra i piedi, ma non solo. Ti riporto la mia esperienza da calciatore in Francia, dove ho giocato poco, ma ricordo che i giovani e anche giovanissimi venivano buttati in prima squadra, sia in formazioni top che in squadre di secondo piano. Del resto, se le nazionali giovanili italiane hanno ottenuto i risultati che conosciamo vuol dire che il talento c’è”.

Redazione

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