Quando ho proposto a Gazzetta Toscana di inviarmi al Lido per seguire la Mostra del Cinema l’ho fatto con la sincera convinzione che sarei riuscita a scrivere e far pubblicare un articolo al giorno.
Ebbene, sono arrivata a Venezia il 2 settembre e già dal 3 mi era chiaro che il mio era un desiderio che non si sarebbe mai avverato. Vedere cinque film al giorno, incontrare persone e scrivere era davvero una intenzione utopistica. Ci ho provato eh, ma ho fallito.
Di seguito potete trovare un resoconto condensato del 3 settembre, il resto arriverà (spero) presto.
Venezia, 3 settembre
Primo giorno pieno al lido. E bello pieno è stato.
La giornata è iniziata con una proiezione di Vermiglio in Pala Biennale, un luogo infernale. Mi spiego meglio. La Mostra del Cinema si svolge al Lido in più sale contemporaneamente per poter concentrare centinaia di film in meno di due settimane. Il Pala Biennale è odiato da tutti perché è il posto peggiore per vedere un film. Intanto è grande come un palazzetto dello sport e quindi se hai la sfortuna di sedere verso il fondo hai lo schermo a 300 metri di distanza. Poi ci sono le sedute, pieghevoli e scomode come quelle dello stadio. In più fa freddissimo, ci saranno 15 gradi di sbalzo tra il dentro e il fuori. Ho incrociato Angelo Curti, produttore di film come Morte di un matematico napoletano e Le conseguenze dell’amore, e lui, da persona intelligente quale è, aveva un berretto di lana in testa.
Detto questo il film mi è piaciuto. È la seconda opera di Maura Delpero e racconta la vita di un piccolo villaggio di montagna dopo la Seconda Guerra Mondiale. La storia si concentra sulla vita di tre sorelle, sul loro passaggio dall’infanzia all’età adulta e sui cambiamenti che ne conseguono.
Una nota di merito particolare va agli splendidi paesaggi di montagna che fanno sembrare un dipinto anche un raccolto pranzo di nozze.
Subito dopo è arrivato il momento di uno dei film più attesi della Mostra di quest’anno, ovvero Queer di Luca Guadagnino, basato su libro di William S. Burroughs. Siamo nel Messico di fine anni ’50 e Lee (Daniel Craig), un espatriato americano, si innamora di un giovane uomo che risveglia in lui un desiderio di connessione che pensava essere ormai sopito.
Craig dà la prova migliore della sua carriera, provando una volta per tutte come possa essere scintillante quando riesce a mettere in mostra il suo lato vulnerabile e autoironico piuttosto che i suoi muscoli.
Queer segna anche la seconda collaborazione tra Guadagnino e lo stilista Jonathan Anderson dopo Challengers. Il regista ha detto in conferenza stampa che lavorerebbe con Anderson a qualsiasi tipo di progetto e spero vivamente che sia di parola.
Penserò alle camicie trasparenti del personaggio di Drew Starkey per molto tempo a venire.
Familiar touch è stato il terzo film del giorno ed è uno dei titoli della sezione Orizzonti. Ruth ha 80 anni e, qualche tempo fa, aveva scelto la casa di riposo in cui avrebbe voluto passare gli ultimi anni della sua vita. Purtroppo non si ricorda di questa scelta perché ha la demenza. Il film la accompagna in questo periodo di transizione, mentre lei viene a patti con i vuoti di memoria e la vecchiaia.
È un film piccino, senza colpi di scena o particolari raffinatezze artistiche ma mi ha molto commossa. L’attrice protagonista Kathleen Chalfant, poco conosciuta perché si dedica soprattutto al teatro, dà qui una interpretazione dolce ma allo stesso tempo potente: Ruth è anziana e deve per forza fare affidamento sugli altri ma è risoluta nel volere mantenere la sua autonomia.
Alla fine della proiezione c’è stato un incontro con la giovane regista Sarah Friedland e Chalfant. Questo è l’aspetto più speciale del festival: poter sentire la voce dei creativi che hanno realizzato i film. L’incontro è stato particolarmente toccante: l’affetto e la stima tra regista e attrice era palpabile, così come lo era l’emozione nella voce di Friedland quando ha dedicato il film alle persone disabili di Gaza e a chi se ne sta continuando a prendere cura anche ora sotto le bombe.