Continua il processo di “umanizzazione delle cure” in terapia intensiva a Empoli 26/01/2021, 15:00
Continua il processo di “umanizzazione delle cure” in terapia intensiva a Empoli, anche durante il periodo Covid, grazie alla sinergia con la psicologia clinica
Con l’uso di videochiamate si supera la distanza tra pazienti e familiari e migliora il benessere psicofisico
Empoli– Durante la fase di pandemia da Covid-19 è stato rafforzato il percorso di umanizzazione delle cure in terapia intensiva a Empoli, avviato già da un anno, grazie all’uso delle videochiamate per comunicare ai familiari gli aggiornamenti clinici, coinvolgerli nel processo decisionale, rassicurarli sulle cure prestate al loro caro e presentare l’équipe medico-infermieristica che assiste il malato, in modo da ridurre la distanza e restituire un volto umano alle cure intensive. Questo è stato possibile grazie alla stretta collaborazione tra il reparto di terapia intensiva, diretto dal dottor Rosario Spina e la psicologia clinica ospedaliera, diretta dalla dottoressa Silvia Lapini. Il percorso psicologico viene seguito operativamente dalla dottoressa Giuditta Martelli, referente di psicologia clinica per il presidio San Giuseppe.
Con l’avvento della pandemia Covid, le limitazioni necessarie al contenimento della diffusione del virus hanno reso inevitabile l’interruzione degli incontri in presenza tra medico-psicologo-caregiver-paziente. Alla drammaticità dell’isolamento dei pazienti si è aggiunta l’altrettanto difficile condizione dei familiari, costretti dalla situazione a vivere a distanza la malattia del proprio caro, relegati anch’essi, quindi, in un isolamento carico di angoscia e di senso di impotenza. Da qui la necessità di enfatizzare l’umanizzazione della cura per cercare di sopperire alla mancanza di “contatto” e delle visite da parte dei parenti attraverso l’uso di strumentazione tecnologica.
“Rassicurazione, vicinanza e coinvolgimento sono temi già cari alla Terapia Intensiva di Empoli, da anni attenta agli aspetti umani. Il paziente trae grande giovamento dal supporto dei familiari, perché l’apparente “abbandono” è un ulteriore fonte di sofferenza, e avere un “aggancio” con il mondo fuori è molto importante e terapeutico. Oltre alle competenze cliniche, che diamo per scontate, è importante che i familiari sappiano, prima di tutto, che il nostro staff è fatto di uomini e donne che si prendono cura dei pazienti con umanità e passione e che in terapia intensiva non mancano gesti di affetto o attenzioni per i particolari, come fare la barba o mantenere in ordine i capelli, in modo da trasmettere al paziente l’amore che i suoi familiari gli darebbero se fossero presenti. Cerchiamo così di trasmettere ai parenti i principi della terapia intensiva ‘aperta’, rassicurandoli e coinvolgendoli- afferma il dottor Rosario Spina”
Questo tipo di percorso avviato a distanza è stato utile e preparatorio all’ingresso,attuato recentemente, del familiare in terapia intensiva covid, nonché preparatorio anche “ all’ ultimo saluto”, che prevede la possibilità di fare visita al parente, quando nemmeno le cure più all’avanguardia possono sconfiggere la morte.
“Da un punto di vista psicologico la compresenza di due figure curanti, che sono diverse tra di loro ma complementari, ha proprio l’intento di operare una sorta di cura sia dei conflitti psichici che delle ferite fisiche attraverso una “coppia genitoriale” terapeutica. Quello che è emerso con ancora maggior chiarezza durante l’era covid è che l’affettività è indispensabile alla cura e che diventano terapeutiche quelle relazioni in cui l’emotività non viene negata ma anzi vissuta in prima persona dai curanti stessi che, proprio perché la vivono su se stessi possono riconoscerla anche negli altri e quindi accoglierla, rispettarla e farsene carico efficacemente. Le videochiamate funzionano perché i due curanti che formano la coppia terapeutica sono disponibili per primi a far circolare affettività tra di loro. I pazienti e i loro familiari percepiscono anche a distanza questo clima emozionale, si sentono accuditi e si trovano avvolti in un’atmosfera relazionale emotivamente pacificata e rassicurante che è forma di cura perché consente speranza e fiducia- conclude la dottoressa Giuditta Martelli.”
L’analisi dell’outcome dei familiari e dei pazienti misurato anche a distanza di tempo nel corso dei controlli effettuati a 3-6-12 mesi di distanza dalle dimissioni dalla terapia intensiva presso l’ambulatorio del follow-up, ha già mostrato un alto livello di soddisfazione correlato anche ad un più alto benessere, avvalorando l’ipotesi che l’intervento in compresenza sia più efficace di quello solitario nella determinazione di un’alleanza tra l’equipe curante, i familiari e il paziente e quindi nel perseguimento dell’obiettivo della umanizzazione delle cure.