Benozzo Gozzoli. Un personaggio celebre della Valdelsa
Benozzo di Lese, detto il “Gozzoli”. Biografia.
Benozzo nacque a Firenze, probabilmente tra il 1420 e il 1421, in una casa di via del Fiore, nel quartiere di Santo Spirito. Si ipotizza che abbia frequentato la “scuola primaria”, corrispondente alla scuola elementare e successivamente “la scuola dell’abaco” , dove si approfondivano le conoscenze della scrittura e si acquisivano quelle conoscenze utili a chi intraprendeva la professione di mercante o artigiano in proprio. Questa formazione scolastica del Gozzoli non risulta documentata, ma risulta da una congettura degli studiosi che trae spunto , soprattutto, dalla prassi del tempo, secondo la quale i figli di artigiani “sufficientemente benestanti” venivano indirizzati verso questo genere di studi oltre al fatto che il Gozzoli ha mostrato una certa familiarità con la scrittura, attestata dai documenti autografi e dalle molte iscrizioni in latino che si leggono nei suoi dipinti trascritte facendo un corretto uso della lingua latina. Benozzo fu avviato dal padre presso una bottega di pittura per compiere il primo tirocinio (non prima del 1435) anche se la sua educazione professionale fu influenzata dalla frequentazione del contado a ridosso delle colline fiorentine nella zona di Settimo dove la sua famiglia aveva proprietà e legami parentali consentendogli di affinare la “capacità di osservazione” che avrebbe distinto tutta la sua produzione artistica. Giorgio Vasari nella sua opera “Vite dè più eccellenti architetti-pittori, et scultori italiani” (1568) documenta che: “ costui fu discepolo dell’Angelico fra’ Giovanni, e a ragione amato da lui, e da chi lo conobbe”, definendolo un pittore “tenuto pratico di grandissima invenzione e molto copioso negli animali, nelle prospettive, né paesi e negli ornamenti”. La sua attività di pittore fu documentata la prima volta intorno al 1444/1447 quando s’impegnò a collaborare con Lorenzo Ghiberti. Nel 1447 fu aiuto dell’Angelico nella realizzazione di quattro cicli di affreschi nei Palazzi Vaticani e nella Basilica di S. Pietro (di cui restano solo quelli della cappella Niccolini) e nella decorazione del duomo di Orvieto. Firenze. Tra il 1450 e il 1452 fu attivo a Montefalco, in Umbria, dove realizzò per il Convento di San Francesco gli affreschi delle Storie della vita di San Francesco nell’abside, e le storie di san Girolamo, in una cappella laterale della navata destra Nel 1459 dipinse da solo il Corteo dei Magi nella cappella del Palazzo Medici Riccardi a Firenze. Nel 1468 giunse a Pisa ed iniziò la decorazione del Camposanto, che lo tenne impegnato sino al a 1494. Morì il 4 ottobre del 1497 a Pistoia , dove è documentata la sua attività pittorica; è stato sepolto nel chiostro di San Domenico.
Benozzo in Valdelsa
Nella sua lunga attività, Benozzo fu attivo in aree- geografico- culturali diverse e tra loro anche distanti operando a Firenze, in Umbria e nel Lazio, a San Gimignano e nella Valdelsa, a Pisa ed infine a Pistoia. In ognuna di esse soggiornò per periodi abbastanza lunghi cercando di integrarsi con l’ambiente locale, come è testimoniato dai continui rapporti che mantenne con ciascuna di queste aree anche dopo la sua partenza. In ognuno dei centri ,dove fu attivo, creò dei seguaci con i quali rimase sempre in contatto tanto che, dal punto di vista culturale, riuscì a tenere vivo l’interesse per le tradizioni e, soprattutto, per la cultura figurativa del luogo. Durante questa sua intensissima attività pittorica Benozzo realizzò anche in Valdelsa opere di grande importanza e bellezza non sottraendosi a queste caratteristiche, anzi esemplificandole in maniera eccellente. In tale contesto spicca il tabernacolo che Benozzo, con l’aiuto di Giusto di Andrea e forse di Pier Ferdinando Fiorentino affrescò tra il 1466 ed il 1467 a Certaldo, presso il Ponte sull’Agliena. Fu detto “ dei Giustiziati”, perché destinato al conforto dei condannati a morte. Il tabernacolo di Certaldo ispirò il priore di Santa Maria a Castelnuovo, ser Grazia di Francesco, quando volle dedicare alla Vergine prima (1484) il tabernacolo di Castelnuovo (più tardi detto della Madonna della Tosse) e poi (1490/91) quello della “Madonna delle Grazie” (detto della “Visitazione”) a Castelfiorentino, presso il monastero delle Clarisse. Questi due tabernacoli documentano perfettamente la capacità del Gozzoli di intrattenere frequenti rapporti con il luoghi frequentati. Al tempo della decorazione del Tabernacolo della Visitazione, Benozzo eseguì, in collaborazione con i figli Francesco e Alesso ,un altro affresco di minore solennità, ma di notevole importanza locale: Santa Verdiana. Fu commissionato nel 1490 dal podestà Jacopo di Antonio Peri come ex-voto per la guarigione ottenuta e rappresenta una delle testimonianze più antiche sul territorio valdelsano del culto di questo personaggio, raffigurato secondo la tradizione iconografica, come una suora vestita dell’abito scuro e accompagnata dai caratteristici attributi: i serpenti ed il canestrino di vimini.
Il Tabernacolo della Madonna della Tosse .
Nel 1484 Benozzo, in collaborazione con la Bottega, eseguì lungo la strada che da Castelfiorentino porta a Castelnuovo d’Elsa, il tabernacolo della dormizione della Vergine, detto in seguito della “Madonna della Tosse” per la costante devozione concessa dalla “gente del luogo” a questa cappella. Pertosse, tosse convulsa, tosse canina, tosse asinina o addirittura “tosse cattiva”, come veniva chiamata in Toscana, indicava una malattia molto diffusa fino a pochi anni fa, che colpiva soprattutto i bambini, provocando una violenta tosse. Oltre ad essere fastidiosa, poteva divenire mortale ed era perciò consuetudine dei fedeli far erigere luoghi sacri, dedicati alla Vergine dove le madri accompagnavano i figli colpiti da questa epidemia. Fra gli esempi più significativi si ricorda il tabernacolo sorto nei primi anni del ‘500 a Firenze presso porta San Gallo e trasformato nel 1595 in oratorio dalla Granduchessa Cristina di Lorena, in seguito alla grazia ricevuta per i figli.
Santa Verdiana
Santa Verdiana (o Veridiana o Viridiana) nacque a Castelfiorentino intorno al 1180 nella famiglia degli Attavanti, di nobiltà decaduta, ma che , nonostante questo, godeva ancora di un certo prestigio. A quei tempi la Valdelsa era una terra prospera ed importante perché da lì passava quell’autentica “Autostrada del Medioevo” che fu la via Francigena, una via che consentì lo sviluppo di città come San Gimignano, Colle Val D’Elsa, Certaldo e che veniva percorsa da moltitudini di pellegrini che si dirigevano verso Roma. Un percorso che Verdiana decise, ancora giovane, di effettuare in senso inverso, percorrendo quell’altro cammino del Medioevo, quello verso Santiago di Compostela, verso la tomba dell’Apostolo Jacopo. Un viaggio che trasformò definitivamente un animo già sicuramente disposto all’ascesi ed al misticismo. Verdiana, dopo una tappa a Roma, infatti, abbandonerà la sua vita precedente, quella di una donna del contado, per murarsi all’interno di un’umile celletta, situata nella zona paludosa di Timignano, dove rimase reclusa per 34 anni. Da una finestrella assisteva alla Messa, parlava con i visitatori e riceveva lo scarso cibo di cui si nutriva. Attraverso questo spiraglio, secondo una tradizione raccolta pure dai pittori, penetrarono negli ultimi anni della sua vita due serpenti, che accudì amorevolmente ed ai quali fece ricrescere le code mozzate e di cui non rivelò mai la presenza. La sua morte, intorno al 1240, venne annunciata da un suono improvviso e simultaneo delle campane, non mosse da mano umana e dalla fuga delle serpi. Il suo corpo venne ritrovato in ginocchio, con gli occhi rivolti al cielo. Il culto di santa Verdiana, rappresentata con gli abiti della congregazione Vallombrosana, venne approvato da Clemente VII° nel 1533 ed è tuttora popolare in Toscana.