“Io Capitano” nelle sale a Firenze e in Toscana”. Il regista Matteo Garrone parla del film con Viviana Del Bianco
Si è concluso festival di Venezia da poco e Matteo Garrone ha inziato la corsa per incontrare il pubblico nel corso dell’uscita del suo film nei cinema Io,Capitano in diverse è città d’Italia, tra cui Firenze )…. . Matteo Garrone racconta il viaggio di Seydou e Moussa da Dakar verso l’Europa – spietati, deserti e campi di detenzione – con uno sguardo magico che noi abbiamo perduto e ama le sfide, le unioni impossibili, le alchimie segrete e rivelatrici. Non si è sottratto alle molte domande, ricordando che il suo film prende le mosse da una storia vera vissuta in prima persona, che sembra stabilire un parallelo tra le aspirazioni dei protagonisti desiderosi di evadere dalla realtà quotidiana e..racconta il viaggio di Seydou e Moussa da Dakar verso l’Europa – attraverso orrori, soprusi, intermediari spietati, deserti e campi di detenzione : “il mio film vuole essere soprattutto una realtà e, consapevole che talvolta le cose possono andare bene e che c’è un’armonia nel mondo, come anche questo attento pubblico mi conferma”.
“Io vengo dalla pittura –Il regista costruisce un’avventura per ragazzi e per adulti accogliendo le sollecitazioni della cronaca e prendendone allo stesso tempo le distanze, mescolando favola (i sogni poeticissimi di Seydou) e orrore (i campi di tortura libici, la traversata del deserto) è un film con cui ci porta in Africa, prima nel sub-sahara senegalese di Dakar, poi rapidamente in Mali e – passando per il deserto attraverso il Niger – sino in Libia e nei sobborghi di Tripoli con le sue scogliere nascoste da cui partono pescherecci malandati nel disperato tentativo di raggiungere le coste italiane e l’idea di un futuro migliore. Un viaggio travagliato raccontato dal punto di vista di Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), due sedicenni senegalesi di Dakar che scelgono la fuga verso il sogno di un Occidente globalizzato visto solo attraverso il telefonino, tra musica e calcio, di cui indossano gli scarti commerciali di trent’anni prima. L’obiettivo? Aver successo nel mondo della musica e poter dire finalmente di essere loro a : «firmare un autografo a un bianco». Un soggetto complicato, spinoso, difficilissimo da affrontare senza critiche e ostilità.Ma Garrone ha scelto di trattare l’argomento nell’unico modo possibile: facendo cinema (e lo sa decisamente fare, da sempre) , con una storia d’avventura, una fiaba contemporanea su di un’odissea dei giorni nostri con due protagonisti solo apparentemente insoliti per il genere. Un viaggio raccontato con impronta neorealista, e non solo per l’utilizzo di attori locali e non professionisti .
Garrone non ha intenzione di travestirsi da autore africano, ma vuole provare a ribaltare il punto di vista che troppo spesso abbiamo verso quelle persone che chiamiamo genericamente immigrati e accostarci alla loro esperienza attraverso il miracolo del cinema, vedendoli questa volta al contrario, dalla loro prospettiva, come e-migranti. Per farlo sceglie di caratterizzare il film con un taglio non realistico ma favolistico e lasciato all’immediata e istintiva empatia che lo spettatore prova di fronte due ragazzini che vivono esperienze terribili, e che tutti noi riviviamo con loro la schiavitù, la tratta, il campo di concentramento. E per empatizzare con queste categorie non serve neanche l’utilizzo di una violenza esplicita e feroce, basta un semplice dettaglio,un’allusione, un’immagine, per mettere lo spettatore nelle condizioni di comprendere benissimo cosa sta succedendo e a che tipo di dolore siamo di fronte e non ha intenzione di travestirsi da autore africano, ma vuole provare a ribaltare il punto di vista che troppo spesso abbiamo verso quelle persone che chiamiamo genericamente immigrati e accostarci alla loro esperienza attraverso il miracolo del cinema, vedendoli questa volta al contrario, dalla loro prospettiva, come e-migranti. Per farlo sceglie di caratterizzare Io Capitano con un taglio non realistico ma favolistico e lasciato all’immediata e istintiva empatia che lo spettatore prova di fronte due ragazzini che vivono esperienze terribili, e che tutti noi riviviamo con loro la schiavitù, la tratta, il campo di concentramento. E per empatizzare con queste categorie non serve neanche l’utilizzo di una violenza esplicita e feroce. A Garrone basta un semplice dettaglio, un’allusione, un’immagine, per mettere lo spettatore nelle condizioni di comprendere benissimo cosa sta succedendo e a che tipo di dolore siamo di fronte. È tutto umano in Io Capitano. È tutto nostro come la lingua che parliamo. Abbiamo imparato sin da piccoli a riconoscere quei luoghi, quegli sguardi, quella tipologia di violenza. Io Capitano è un film intenso, universale, semplice e profondo allo stesso tempo che vive della sottile, umana e poetica visceralità artistica del suo autore. Importante è riuscire a farlo vedere ai ragazzi e portarlo nelle scuole di ogni grado .
Viviana Del Bianco